Niente definizioni prego, è Fornasetti
Fornasetti: colto e leggero sense of humour

Che l’opera di Piero Fornasetti sia una delle più affascinanti, complesse e intramontabili del design italiano, è evidente: immune ai trend, colta e leggera al tempo stesso, si propone come un esempio quasi unico, rigoroso ma estremamente fantasioso, ricco di temi e di un costante e raffinato sense of houmur.

Che Barnaba Fornasetti, figlio di Piero, sia una figura fondamentale per la diffusione, la prosecuzione e la valorizzazione del lavoro del padre, è altrettanto evidente. Soprattutto perché con l’arrivo di Barnaba l’opera di Fornasetti si è trasformata da arte (con la realizzazione artigianale di pezzi pressoché unici) a vera e propria produzione, anche se limitata.

Nel 1988, dopo la morte prematura di Piero Fornasetti, Barnaba infatti prende in mano le redini dell’attività continuandone la tradizione, da una parte attraverso le riedizioni dei pezzi più rappresentativi, dall’altra quelle che lui chiama reinvenzioni, ossia oggetti progettati da lui stesso e decorati prevalentemente con temi provenienti dal vasto archivio di Fornasetti, patrimonio di idee e ricerche che Barnaba fa proprio, trasformando la memoria in impulso creativo, metodi da elaborare e contestualizzare nel mondo di oggi.

Il risultato è puro stile-Fornasetti: mobili, complementi, ceramiche che si animano di motivi surreali e leitmotiv che hanno segnato tutta la storia di Piero e Barnaba Fornasetti.

Abbiamo letto in una vecchia intervista che ha definito suo padre “un artista rinascimentale”. Lei invece come si definirebbe?

Un artista post-rinascimentale… però detesto le definizioni. Non mi pare di averlo definito così anche perché, come lui, non amo le definizioni. Anzi, a riguardo mi piace citare proprio mio padre quando scriveva: non credo nelle epoche né nelle date. Non ci credo. Mi rifiuto di stabilire un valore di una cosa in base alla data. Non pongo limiti e niente è troppo esoterico per essere usato come ispirazione.

Le vostre collezioni sono difficilmente collocabili: da una parte sembrano fatte di pezzi unici, dall’altra invece sono comunque riprodotte in serie. Allo stesso modo il vostro stile da una parte sembra quasi essere di nicchia, dall’altra negli ultimi decenni ha incontrato un grande favore nel pubblico. Può aiutarci a cogliere l’identità di Fornasetti?

Difficilmente l’ispirazione arriva dal cielo, ma viene sempre lavorando, soprattutto nell’ambiente del design che è sempre legato a una buona dose di utilitarismo.

L’identità non viene definita dalla quantità delle creazioni prodotte. Quando Gio Ponti si rivolse a mio padre sia per le sue qualità artistiche che per le sue capacità tecniche era per creare oggetti di serie decorati con immagini artistiche prese dal passato e dalla loro contemporaneità.

L’idea era di portare l’arte sull’oggetto di uso quotidiano sposandola con l’artigianato e l’industria. Purtroppo questo bellissimo concetto alla portata di tutti si rivelò presto un’utopia per le esigenze del mercato che oggi più che mai condiziona le nostre scelte. L’identità è un concetto astratto che non so bene come si ottenga. Sia io che mio padre creiamo degli oggetti utilizzando quello che già esiste nell’iconografia antica e moderna. Lo mixiamo e per una strana magia riusciamo ad ottenere l’identità fornasettiana così forte che si riconosce più per l’immagine che per la firma.

Nell’epoca dei materiali industriali, quelli che puntano sulla grande carica estetica delle superfici grezze (resine, cementi, metalli…) quale ruolo ritiene che possano giocare prodotti iper-decorati e dall’immagine quasi artigianale come i vostri?

Trovo molto affascinante il contrasto tra i due e credo che il dilagare del minimalismo spesso espiatorio si possa salvare solo grazie all’intervento di piccole realtà decorative artigianali sofisticate.

Da quali universi nascono le ispirazioni di suo padre? Una certa pittura metafisica, Lewis Carroll, il surrealismo, e poi cos’altro?

Più che da Carroll la metafisica ha avuto forse una certa influenza anche perché mio padre ha lavorato fianco a fianco con De Chirico, ma Carroll sicuramente sapeva chi era, non so se abbia mai letto qualcosa, ma credo che forse si sia maggiormente ispirato alle stampe di Gonin. Paradossalmente lo zen e i tagli di Fontana hanno avuto una grande influenza anche se non sembra.

Come nasceva una creazione di Piero Fornasetti? Da cosa partiva per fare i primi schizzi? E lei invece, come procede?

Difficilmente l’ispirazione arriva dal cielo, ma viene sempre lavorando, soprattutto nell’ambiente del design che è sempre legato a una buona dose di utilitarismo. A volte invidio gli artisti liberi di viaggiare sulle tele inseguendo stimoli onirici.

Le vostre decorazioni hanno trovato applicazione in una moltitudine di ambiti: le ceramiche, i rivestimenti, i mobili, addirittura la moda. Esiste un settore nel quale vorrebbe diffondere lo stile Fornasetti e che ancora non ha affrontato?

Sì, in qualcosa che non sia legato al prodotto, di cui siamo già in over offerta.

Incuriosisce molto il legame con la città di Milano. Ce ne parli: la ritiene sempre così florida e ricca di spunti, oppure pensa che altrove ci siano città più adatte a chi fa design o arte?

Quando vado all’estero, nelle altre città mi viene la depressione pensando a Milano, così ferma, legata ai suoi meschini provincialismi piccolo borghesi. E sono stupito di come chi ci vive non si renda conto di quanto rischia di rimanere indietro, ma è un problema più vasto, anche politico, che riguarda tutto il nostro paese.

Tratto da rivista ceramicaecomplementi n. 11